Trained to See: Three Women and the War:la recensione del documentario diretto da Luzia Schmid, con Margaret Bourke-White, Martha Gellhorn, Lee Miller, presentato durante la 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma, nella sezione Freestyle.

TRAINED TO SEE – LA TRAMA

Durante la Seconda guerra mondiale, per la prima volta tre donne americane furono fotoreporter ufficiali sul fronte europeo: Martha Gellhorn (1908-1998), moglie di Ernest Hemingway dal 1940 al 1945 e amica di Eleanor Roosevelt; Margaret Bourke-White (1904-1971), che era stata un’altra delle grandi fotografe del New Deal; e Lee Miller (1907-1977), ex compagna di Man Ray e legata alle avanguardie artistiche.
Luzia Schmid ricostruisce tre vite parallele attingendo a materiale spesso inedito, di grandissima drammaticità e qualità visiva, che riguarda soprattutto la liberazione dei lager di Ravensbrück, Buchenwald e Dachau, e la sconfitta della Germania.
Fu un’esperienza che segnò profondamente tutte e tre; ma è stato grazie anche al loro occhio che l’Occidente ha cominciato a percepire la guerra in modo diverso, senza retorica maschilista: come una tragedia.

TRAINED TO SEE – LA RECENSIONE

Lee, Margaret, Martha. Tre nomi, tre storie… tre donne. A portarle sul grande schermo, Luzia Schmid (The Branch I’m Sitting On, vincitore del premio Grimme, l’Emmy della tv tedesca) col documentario Trained to See: Three Women and the War, presentato nella sezione Freestyle della diciassettesima edizione del Festival del Cinema di Roma.
Tre vite parallele, e forse nemmeno più di tanto, una sola passione: essere dentro la Storia; viverla per poterla raccontare. Sono state loro, del resto, le prime americane a essere fotoreporter ufficiali sul fronte europeo durante la Seconda Guerra Mondiale.
Lee Miller, fotografa e corrispondente di guerra per Vogue, nonché ex compagna di Man Ray, amica di Picasso, Paul Èluard, Jean Cocteau; Margaret Bourke-White, la prima fotografa per il settimanale Life e la prima donna al seguito dei caccia americani; e Martha Gellhorn, terza moglie di Ernest Hemingway, amica di Eleanor Roosvelt e tra le più grandi corrispondenti di guerra del XX secolo.

Luzia Schmid non tralascia nulla, della sfera privata come di quella professionale e lo fa attingendo a materiale spesso inedito, di grandissima drammaticità e qualità visiva. In questi centosei minuti di narrazione, insomma, c’è tutto… C’è la vita di tre donne americane, il loro bisogno di emancipazione e la vita che diventa storia.
Dagli scatti agli assedi della Lina Gotica della Bourke-White a quelli dell’assedio di Saint Malo, della liberazione di Parigi della Miller, fino agli illuminanti articoli della Gellhorn.
Dalla liberazione dei campi di concentramento di Ravensbruck, Buchenwald e Dachau alla sconfitta della Germania. E c’è, soprattutto, la volontà della regista di sottolineare l’importanza della pluralità dei punti di vista; di «raccontare la storia della Seconda Guerra Mondiale attraverso gli occhi della donne», come ha lei stessa dichiarato.
Un film diretto da una donna, dunque, e che come protagoniste ne ha altre tre, tutte capaci, con il loro sguardo inedito e personale, di raccontare l’orrore della guerra, al di fuori della retorica maschilista.
”End of recording”, fine delle registrazione, titoli di coda.

Vittorio Russo