The Woman, di Luky Mckee (2011)
Nel castLauren Ashley Carter, Pollyanna McIntosheSean Bridgers.

Nell’edizione delSundance Festival del 2011uno spettatore, al termine della proiezione di uno dei film in concorso, si alza e manifesta tutta la sua indignazione, urlando:“E’ disgustoso, questa non è arte, è un insulto a tutte le donne, andrebbe confiscato e bruciato”,accusando il regista di misoginia. Come se non bastasse, una donna ha unmaloree abbandona la sala.
In genere, aneddoti di questo tipo mi spingono a evitare come la peste l’horror di turno, perché ritengo siano invenzioni pubblicitarie che amano raccontare i media, reali quanto il “sorriso” deisofficininegli spot e frutto di un’ingenua strategia dimarketingda due soldi (si veda Paranormal Activity et similia).
Per mia fortuna, sono venuta a conoscenza di questi due episodi molto tempo dopo la visione di quello che considero ilmiglior horror femministadella Storia del Cinema, a dispetto di chi, evidentemente, poco ha capito del vero spirito del film e di quello che il regista voleva comunicare.
D’altra parte, quando un filmakerpromettente e coraggiosoe uno scrittore scomodo, che deve il successo al suo attingere da orrori quotidiani e reali, uniscono le loro arti e i loro saperi, l’incontro non può che essere dei più riusciti e fortunati.

THE WOMAN – LA TRAMA

L’eccellente risultato è “The woman“, romanzo scritto a quattro mani daJack Ketchum, autore, tra gli altri, del devastante romanzo “The girl next door” (divenuto anch’esso un capolavoro cinematografico), e dal californianoLucky Mckee, già noto e apprezzato per “Creatura Maligna“, episodio della serie televisiva Masters of Horror, e per il macabroMay, considerato“uno dei migliori horror del decennio 2000-2010″dal sito web Bloody Disgusting.
I due hanno poi scritto, insieme, la sceneggiatura dell’omonimo film, della cui regia si è occupatoMckee, raccontando per immagini, con il prezioso contributo diAlex Vendleralla direzione della fotografia, il marciume che si nasconde dietro la cosiddetta “società civile” americana.
Il titolo del film fa riferimento a unadonna selvaggia(la prorompente valchiria Pollyanna McIntosh), che vive allo stato brado nei boschi, senza un nome né una meta, unica superstite di unclan di cannibali.
Sfortunatamente la sua strada si incrocerà con quella diChris Cleek(interpretato da unoSean Bridgersdagli occhi di ghiaccio), stimato avvocato e padre di famiglia, con la passione per la caccia e il comando.
L’uomo, mentre perlustra il bosco in cerca di cacciagione, intravede, tra la fitta vegetazione, il corpo seminudo della donna, intenta a lavarsi in un ruscello, restandone affascinato e incuriosito, e decide di catturarla e civilizzarla, secondo i suoiprincipi e valori.

Gli intenti del cacciatore, tuttavia, si riveleranno ben presto tutt’altro che caritatevoli e misericordiosi nei suoi confronti, non vedendo altro in lei che untrofeo da portare a casacon orgoglio, una belva da ammirare e incatenare nel capanno degli attrezzi, per renderla inoffensiva, una meravigliosa “tabula rasa”, da plasmare e addomesticare con i suoi – discutibili – metodi educativi. Non a caso la presenterà al resto della “famigliola” come un “progetto“, privandola di qualsiasi forma di identità e dignità.
Famigliola che appare subito disfunzionale e malsana, contrariamente alla sua parvenza di confortante normalità, fatta dibuone maniere e barbecue in giardino: una moglie servizievole e completamente soggiogata dal marito/padre padrone, il figlio minore allevato a turpe immagine e somiglianza del capofamiglia, la figlia adolescente con problemi relazionali e unsegreto scabrosoche la affligge, la terzogenita con le treccine rosse, che si rifugia nel suo microcosmo rassicurante, fatto di biscottini gingerbread e di una radiolina colorata da cui non si separa mai.
Solo la devota consorte proverà a mostrare al marito qualche riserva (originata più dalla gelosia che dal buon senso) circa la sua “missione”, ricevendo unsonoro ceffonecome risposta.
La misoginia e il sadismo dell’uomo si manifesteranno già dalle primissime scene, nelle sue parole, nei suoi atteggiamenti e nelclima di terrore, che regna nella casa, e sfoceranno insoprusi e umiliazionisempre più abiette verso il suo inconfessabile oggetto del desiderio, abusi resi ancora più intollerabili a causa dell’omertà e complicità dei famigliari.
Ma la sua preda non si lascerà domare facilmente, anzi, la suaribellionesi scatenerà sin dal principio, in una delle scene più emblematiche del film, in cui laprotagonista morde, strappa, mastica e inghiotte l’anulare del suo incauto aguzzino, non prima di aver sputato la fede nuziale, in segno di spregio verso l’istituzione del matrimonio di pura facciata rappresentata in quelnucleo familiare patriarcalee fallocentrico, caratterizzato da un forte squilibrio dei poteri e da un autoritarismo insostenibile.
Ribellione che culminerà inuno dei finali piu brutali e crudeliche si possano immaginare, filmatosenza censuree con una efficacia estetico-visiva chedisturba e mette a disagio, in cui trova spazio anche un colpo di scena che raggela e spezza il cuore, come se non bastassero le immagini di una mattanza sanguinaria che esplode come una bomba e lascia svuotati e annientati.

Da brividi anche lacolonna sonora, a tratti straziante, a tratti ironica, che accompagna le immagini alla perfezione e che vale piu di mille “spiegoni” e ridondanze.
D’altronde aMckeegli spiegoni non servono, anzi, la sua cifra artistica consiste proprio nel ricorso ad allusioni ed ellissi, nel non detto, nel rivelare il meno possibile: a parlare sono lapotenza delle immagini, la regia scarna ma profonda, il suo interesse per il racconto, il suo puntare tutto su personaggi ed emozioni, anche le più sordide, sempre con estrema sensibilità e cura per i dettagli.
E difatti sceglie uncast di prim’ordine, a cominciare dalla straordinaria Pollyanna, un mix di rabbiosa ferocia e primitivo candore, capace di trasmettere un caleidoscopio di emozioni con il solo uso del volto, imbruttito ma carico di una sensualità dirompente.
Impossibile non spendere due parole per la sempre superbaAngela Bettis(con cui Mkee ha stretto un sodalizio vincente), nel ruolo della moglie succube, fragile e incurvata dal peso di continue vessazioni e prepotenze, che infonde nello spettatore sentimenti contrastanti di pena e fastidio, almeno fino al momento in cui tenterà, invano, di riappropriarsi finalmente del suo valore di donna e madre.
Ma è il Villain, anima nera del film, incarnato daSean Bridgers, a meritarsi gli elogi più entusiasti, grazie ai suoi sorrisetti viscidi, ai suoi occhi colmi di odio, ai suoi repentini cambiamenti di registro e alla sua perfetta aria da despota abusatore e codardo.

THE WOMAN – L’OPINIONE

The Womanè il miglior regalo che due mostri sacri dell’Horror contemporaneo potessero offrire al pubblico, una vera e propriacelebrazione della Donna, contro la sua svalutazione e brutalizzazione da parte di un maschilismo accettato come normale perché consumato tra le mura domestiche, con una rassegnazione e sopportazione che rendono vani anni e anni di lotte per l’emancipazione femminile.
Non siamo semplicemente davanti a unhorror movie, ma il film di Mckee va ben oltre per le tematiche che affronta o solo suggerisce: la dicotomia classicanatura versus culturacon le riflessioni inevitabili che genera (l’incivile è il selvaggio, mai venuto in contatto con la società e ignaro delle regole che la sorreggono, o chi ne fa parte ed è comunemente accettato, ma cela una condotta spregevole, mascherata da perbenismo?); il dualismo di origine roussiana tra la donna selvaggia, bruta e istintiva, ma giusta, come laNaturache dà e poi si riprende con gli interessi, e la donna civilizzata, debole e dall’animo corrotto, colpevole quanto e più del maschio Alfa da cui si fa tiranneggiare; l’abuso di potere da parte di unmaschile prevaricatore, in una società che si dichiara sviluppata e progredita, ma che ha ancora tanto da imparare in materia di diritti e pari opportunità.
L’opera, nonostante sia stata meritatamente premiata (e osannata) in tutti iFestivala cui ha partecipato (vincendo ben 13 premi in totale, tra i quali quello di Miglior Sceneggiatura al Festival del Cinema Fantastico di Sitges e di Miglior Regia, Miglior Film Horror e Miglior Villain al Toronto After Dark Film Festival), non è mai stata distribuita nelle sale del nostro Paese, ma si è pensato di relegarla a semplice riempitivo del palinsesto, con un misero passaggio televisivo suldigitale terrestre, in seconda serata.
Io vi esorto a recuperarla in lingua originale sottotitolata, in quanto la versione doppiata rende la recitazione degli ottimi protagonisti troppo artificiosa ed estraniante, impedendo il normale processo di proiezione/identificazione e quelcoinvolgimento necessarioper poter godere di un’esperienza filmica che resta indelebile nella memoria.
Ma, come per “La ragazza della porta accanto“, è doveroso da parte mia consigliarne la visione solo a chi non sia facilmente impressionabile: lescene splatter,specie nel finale, sono molto cruente, ai limiti del sopportabile, anche se a far male e a disgustare maggiormente sono le tante scene di sopraffazione eviolenza psicologica, che serpeggiano per tutta la storia, intrise di un sessismo e machismo rivoltanti.
The woman, nonostante il vespaio di polemiche che ha suscitato, è stato da molti indicato comepunto di riferimento del decennioper registi e cultori del genere, ponendosi come modello per le nuove frontiere del cinema horror e perturbante.

Eliana Romano