Hunger: la recensione del film inglese del 2008 diretto daSteve McQueen,e co-scritto con Enda Walsh. Gli attori che interpretano questodramad’impegno civile sonoMichael Fassbender, Liam Cunningham, Stuart Graham, Brian Milligan, Liam McMahon, Helena Bereen, Larry Cowan.

Bobby Sands (Michael Fassbender), è leader dell’Ira. Da quando si trova incarcerato nella prigione di Long Kesh, ha iniziato, insieme ad alcuni compagni, uno sciopero della fame a oltranza nel tentativo di ottenere i diritti elementari legati alla dignità dei detenuti.

Premiato da una lungimirante giuria diCannes(2008) che ha conferito a McQueen la Caméra d’Or come miglior regista esordiente,Hungerha portato al cinema contemporaneo una nuova e originale freschezza. Non solo perché McQueen si colloca tra queicine-artistiche dalle gallerie di musei istituzionali (e non) si è spostato alla settima e ultima arte, ma anche perché mostra come siano rivoluzionari quei condotti sottili e spesso sottovalutati che si creano tra una forma d’espressione e l’altra.Hungernon mostra però laformazione da videoartista di McQueensolo perché alcuni passaggi del film (come, ad esempio, la scena in cui i prigionieri spalmano delle feci sulle pareti che somiglia a una performance dabody artist) evidenziano la surrealevisionedel regista: Hunger è un’opera sperimentale e terribilmente coerente con se stessa perché non di cura affatto di regole di sceneggiatura, logiche aristoteliche, sviluppo organico dei personaggi, tempi delle inquadrature. Emblematico in questo senso è il modo in cui McQueen presenta il suo personaggio: mezz’ora dopo l’inizio, quando unpiano-sequenza, a camera fissa e della durata di quasi venti minuti si erige a fulcro visivo e narrativo dell’intero film. Selvaggio e allo stesso tempo rigorosamente domato il dito che McQueen punta alla storia per farsi seguire dallo spettatore; e ciò che contribuisce alla sua meraviglia è che il girone dell’inferno terreno che il regista racconta è storicamente verificabile. L’intento non è l’immedesimazione forzata, ma quello di deformare una lente affinché lo spettatore si avvicini naturalmente.

Potrebbe sembrare una presa di posizione quella di McQueen, ma Hunger non è per il regista l’occasione per attaccare lapolitica militarizzata della Thathcer, quanto quella di trascinarci in un vortice di violenza e sofferenza, di soprusi e di reazioni plateali, di mortificazione del corpo, trovando semmai nel conflitto nordirlandese un pretesto storico che indirizzi il film verso i territori della desertificazione assoluta dell’umanità. Proprio come fecePasoliniconle 120 giornate di sodoma.

Portare alla morte il protagonista Bobby è un pretesto per una mimesi attoriale portata a livelli estremi, e interpretata magistralmente da Fassbender che ci conduce nell’ossessione di celle opprimenti (il film è concentrato per lo più su spazi chiusi, immobili), di corridoi angoscianti quanto quelMiglio verdeche tutti ricordiamo per la sua sordità.

Lo stile di McQueen si cuce chirurgicamente così alla storia narrata e al martirio del suo personaggio, dando una dimostrazione personalissima di cinema d’impegno civile. InHungerlapolitica dell’impegnosi accosta alle terre vergini che certa ultima arte sta portando sempre più in evidenza: segni sulla pelle, liquidi corporei, silenzi e respiri che portano all’hic et nuncche ci diventa sempre più difficile sentire. Astrazione dal reale, sembra paradossale.

HUNGER – TRAILER ITALIANO

Anna Pennella